mercoledì 26 gennaio 2011

Nativi digitali

Nativi digitali, un pomeriggio con il professore.

L'aula non era colma, anzi, uno sparuto pubblico occupava solo parte dei posti disponibili nella sala e tra loro nessun giovane.
La conferenza era stata organizzata come seguito di un precedente intervento, sul tema dell'impatto delle nuove tecnologie e in particolare quelle informatiche e telematiche sulla società e su coloro che in un futuro molto vicino dovranno occuparne i posti chiave: i giovani appunto.

Il filosofo è colui che fa della filosofia, non la racconta.

Potrebbe essere sintetizzato così l'intervento del professor Moriggi, che nel replicare all'introduzione fatta dal moderatore tenne subito a precisare che la filosofia fa parte delle materie umanistiche solo in Italia.
Scontiamo una storia che ancora oggi relega la scienza e ancora di più la tecnologia fuori dal termine 'cultura', che consente a molti di dibattere e decidere su temi scientifici senza possedere una vera cultura scientifica.
Argomenti molto interessanti, ma il cuore del discorso era soprattutto un altro per me: chi sono i "nativi digitali", coloro che sono nati con il mouse in mano, quelle persone denominate anche 'always on', sempre connesse ?

Fra pochissimo tutti gli studenti saranno nativi digitali, gran parte lo sono, ma fra non molto anche gli insegnanti lo saranno.

Per il momento chi si occupa di didattica e nativo digitale non è, si pone delle domande cruciali: come possiamo trasmettere 'cultura tecnologica' piuttosto che semplice 'competenza tecnologica'. Perché dovremmo farlo innanzitutto ?

Il timore di chi vive il fenomeno dello sviluppo tecnologico dal di fuori, non essendone in pieno coinvolto, perché restio verso l'utilizzo dei nuovi strumenti, o semplicemente perché crede di non averne bisogno è quello di vedere svanire i vecchi valori e le vecchie buone abitudini, quelle che ti fanno assaporare il tempo delle cose che fai, o l'importanza di ciò che produci.
Vedendo le cose dal di fuori però non si colgono opportunità, si vedono solo pericoli.
E' una situazione davvero paradossale questa, tutte le accuse fatte agli sviluppi tecnologici dell'era moderna, legati al diffondersi dell'informatica, se provengono da un'area  culturale così detta "umanistica", si rivelano percorrere strade riduzionistiche e meccanicistiche nelle loro argomentazioni, mentre lo sviluppo scientifico e tecnico è già andato oltre, da un bel pezzo. E' il trionfo con in nuovi mezzi, della potenza del messaggio scritto, del potere evocativo della parola, emozionale e trasformativo, ampliato dalla velocità e potenza dei nuovi mezzi di comunicazione. E' l'affermarsi concreto di una concezione olistica, sulle semplificazioni di categorie obsolete, con cui abbiamo etichettato le discipline scolastiche.

Nativo digitale è colui che vive la tecnologia, non ne parla.
 
Vivendola senza parlarne può dare l'impressione di non cogliere nessuna o poche delle buone eredità della cultura passata. Ma è necessariamente un male questo ?
Non è detto se per un attimo ripensiamo a cosa è stato combinato nella società e nell'ambiente dalle generazioni passate.

Allora sogniamo per un istante che lo scopo non sia quello di trasmettere ciò che di grande è stato pensato e detto, e magari poco realizzato, ma di contribuire insieme ai nativi digitali, la fioritura di una nuovo cultura, con i semi di ciò che non si è mai realizzato compiutamente, schiacciato da uno sviluppo economico insensibile all'ambiente e dunque al benessere reale dei cittadini, volto alla diffusione di falsi bisogni e di falsi miti.

Sogniamo per un attimo di ritornare ad un mito che ci ha fatto sognare un po' di anni fa, senza i computer e Internet a disposizione: il superamento di una società borghese, con il suo benessere ma con le sue ipocrisie, rovesciando certe concezioni del mondo che ci circondava.
Dai risultati ottenuti, non sembra che il metodo abbia riscosso molto successo, molti dei sognatori di allora oggi sono manager, filosofi o sindaci di grandi città, ma l'ambiente in cui viviamo non sembra sostanzialmente migliorato.
Ma se ci domandiamo un attimo,  in modo pragmatico, ossia più vicino a come ora sembrano essere gli adolescenti, cosa è importante veramente trasmettere alle nuove generazioni attraverso l'azione didattica ed educativa, la risposta non può che essere ancora una volta, la fiducia nel valore della cultura.
Ma come realizzare questo obiettivo nell'era digitale ?

La risposta del "filosofo"  a questa forse un po' ingenua domanda è coerente (e come potrebbe non esserlo) con le precisazioni evidenziate all'inizio della conferenza.
Occorre mostrare agli studenti, la complessità del mondo e di ciò che sta dietro all'utilizzo degli strumenti e che solo l'acquisizione di una solida base di cultura logico e scientifica,  e del metodo di indagine che ne sta alla base, può guidarci nella lettura di questa complessità.
L'insegnamento di discipline come l'Informatica  riacquista in questa luce la sua dignità culturale, come disciplina squisitamente interdisciplinare e sistemica e non semplice addestramento sull'utilizzo di apparati e programmi.

L'aula era priva della presenza fisica di giovani, ma nello smart-phone posto sul tavolo dal professore, continuavano a giungere messaggi dai social network riguardanti i temi che stavamo trattando. Proprio da quei giovani che stavano semplicemente vivendo l'evento in un altro modo.

Se vogliamo darci da fare e non perdere il treno, possiamo ancora sperare di costruire il prossimo futuro insieme, con tutta la cura e attenzione che merita, cercando di utilizzare la potenza della collaborazione di idee al di la della presenza fisica o delle apparenti assenze di valori.





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