Tocca un tema che mi è molto caro, e che utilizzo sempre nella mia attività didattica nelle quinte dell'istituto tecnico dove insegno. Lo riporto integralmente:
Il titolo di questo post – Libertà e partecipazione – è quello scelto da Martina per il suo tema, che viene qui di seguito.
Riflessioni sui post Software libero
Nel cominciare a
scrivere questo elaborato a proposito dell’etica hacker e del software
libero, devo confessare una sorta di diffidenza che da sempre in me si
accompagna ai contatti col mondo digitale.
Ho sempre attribuito
questo sentimento a una scarsissima padronanza di tali mezzi,
giustificata in modo probabilmente troppo benevolo con la scusa che “non
tutti i campi del sapere ci possono appassionare”.
Nel leggere gli articoli del blog Laboratorio Online Permanente di Tecnologie Internet per la Scuola – #loptis
per la preparazione di questo esame, mi sono resa conto di cosa ai miei
occhi costituiva la differenza tra ambiti come la letteratura e le arti
in generale dall’informatica: se infatti in queste ultime gli spazi per
esprimere me stessa e per entrare in sintonia con il frutto dell’altrui
creatività mi sembravano evidenti, proprio non riuscivo a coglierli
nell’informatica per come mi era stata presentata fino ad adesso.
Abituata infatti ad
usufruire del computer nei suoi aspetti più banali e superficiali,
l’informatica mi appariva come un mondo di spazi precostituiti ed
estremamente poco modificabili ed esplorabili da coloro che percepivo
solo come utenti.
È dunque solo con questo
recente contatto con l’etica hacker della condivisione del sapere che
comincio a rendermi conto delle enormi potenzialità racchiuse in questo
universo.
Probabilmente il fatto
di essere nata in un’epoca in cui tutto è profitto, rende difficile
individuare l’appropriazione indebita di beni comuni in tutti i suoi
aspetti. Se infatti risulta abbastanza evidente, o quanto meno a tutti
comprensibile, che beni come l’acqua, l’aria, i beni del territorio
debbano essere proprietà comune, la questione diventa già più
discutibile quando si comincia a parlare di proprietà intellettuali e di
conseguenza anche del mondo digitale.
Diceva Jean-Jacques Rousseau: Il
primo che, avendo recintato un terreno, osò dire: “questo mi
appartiene”, e trovò uomini abbastanza ingenui per credergli, quegli fu
il vero fondatore della società civile. Quanti delitti, quante guerre,
assassini, quante miserie ed errori avrebbe risparmiato al genere umano
colui che, strappando i paletti o colmando il fossato, avesse gridato ai
suoi simili “guardatevi dall’ascoltare quest’impostore; siete perduti,
se dimenticate che i frutti sono di tutti e la terra di nessuno.
Ebbene applicare quest’ottica anche al campo dell’informatica mi permette di capire l’importanza di una terra di tutti e di nessuno
quale è il software libero. Essendo basato sulla condivisione, tale
metodo consente un prodigioso sviluppo in cui ogni nuovo apporto è la
base per nuove espansioni. Se è vero che siamo nani sulle spalle di
giganti, risulta automatico come la condivisione di saperi ci liberi e
ci permetta di innalzarci tutti insieme.
Per questo, oltre che
per l’immensa fonte di guadagno che attualmente rappresenta, questo
mondo virtuale è imbrigliato dalle multinazionali e da un pensare comune
che criminalizza chi non si presta a questi giochi di mercato.
Non è un caso che la
figura dell’hacker sia per l’opinione comune non molto diversa da quella
del piccolo delinquente, quando in realtà si tratta di una persona che ha in somma considerazione l’atto creativo, che detesta
tutto ciò che intralcia l’accesso all’informazione, diffida di tutto
ciò che è burocrazia, di tutto ciò che è potere sovrastante,
istituzionale o privato che sia, diffida in generale di ogni tipo di
intermediazione, crede fermamente nella libera circolazione delle idee
che ritiene una risorsa primaria, come l’aria e l’acqua, si interroga
sul senso delle cose, sulla possibilità di migliorarle e ha un assoluto
bisogno della libertà di provare a migliorarle. L’hacker possiede un’etica profonda ed è profondamente onesto.
Perché
profondamente onesto è volere un progresso orizzontale, di cui tutti
possano beneficiare, indipendentemente dai mezzi economici e dal
contesto sociale; profondamente onesto è non fare delle proprie capacità
un mezzo per elevarsi al di sopra degli altri ma metterle al servizio
di una comunità di cui dunque ci si ritiene parte integrante.
A mio
avviso è dal concetto di comunità che si deve ripartire oggi e in
quest’ottica credo che d’ora in poi guarderò al mondo digitale con un
po’ meno di timore e con un po’ più di curiosità.
L’interesse
per il mezzo dunque, perché in esso si rispecchia anche il fine, mi
porterà, spero, a trasferire quella coerenza che cerco di osservare
nelle scelte quotidiane (stile di vita, acquisti, consumi) anche
nell’utilizzo degli strumenti informatici, conscia dell’interconnessione
tra tutti gli aspetti della nostra vita.
Microsoft
Corporations e Apple Inc. mettono in atto forse forme più subdole di
sfruttamento rispetto a McDonald’s con i suoi hamburgers e dobbiamo armarci di conoscenze per poterci difendere e non essere complici.
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