Come un fiore sul ciglio del prato (Natale 2012)
di Mario Rotta
Ha
ancora un senso, quest’anno, parlare di come il consumismo ha
snaturato i significati del Natale? Sembrerebbe di no: la crisi ha
diradato la gente per le strade, le luci dei negozi sono diventate più
sobrie, c’è meno ansia, meno lusso (ammesso che un concetto così
palesemente inconsistente possa essere rappresentato in termini di
maggiore o minore), meno frenesia per gli acquisti. Ma non credo che
tutto questo accada perché stiamo cominciando a capire: siamo solo
diventati più poveri, e siamo costretti a spendere di meno. Non appena
passerà, se passerà, non solo torneremo a comprare regali superflui, ma
temo che diventeremo ancora più compulsivi, come se dovessimo
compensare in qualche modo le difficoltà di questo momento: il che è
umano, se non fosse che gli esperti di marketing e gli strateghi del
branding lo sanno già che è così che andranno le cose, e si stanno già
muovendo per limitare i danni di questa fase più pacata e predisporci
già adesso a ulteriori, future esagerazioni.
Non
ci credete? Provate a guardarvi intorno con un po’ di attenzione.
Ogni giorno, ad ogni ora, in ogni momento, c’è qualcuno o qualcosa che
cerca di trasformare questa occasione in cui – per ragioni contingenti –
potremmo riuscire a ritrovare tutta la purezza che avevamo smarrito,
in una cantilena stonata di consigli per acquisti sempre più inutili.
Come se le uniche cose che contano fossero quelle che si possono
rinchiudere in un pacchetto o, peggio ancora, quelle che ci spingono a
indebitarci ancora, per non si sa quanto tempo, per “possedere”
servizi di cui non abbiamo chiesto di usufruire e che comprendono una
quantità di opzioni dieci volte superiore a ciò che, al limite,
potrebbe servirci davvero. Ormai è questa la frontiera dello shopping:
non più gli oggetti in sé (spesso inutili anche quelli, ma se non
altro tangibili, concreti), ma elementi inconsistenti di una specie
di stile di vita che qualcuno (ma chi? Dove? Quando? Perché?) ha
deciso che, in un modo o nell’altro, deve diventare il nostro
parametro di riferimento. A queste entità senza volto che cercano di
dirci come dovremmo essere e che cosa dovremmo fare non importa se
siamo umani, se proviamo sentimenti, se abbiamo emozioni, se usiamo
l’intelligenza, se apprezziamo la cultura, se amiamo la bellezza, se
cerchiamo di ragionare, se siamo capaci di pensare. Anzi, questo
insieme di capacità e di pulsioni che rende ognuno di noi realmente
vivo è considerato estremamente pericoloso. Non dobbiamo ragionare, a
meno che per ragionare non ci si riferisca al parlare (ma di che
cosa?) usando l’ultimo modello di smartphone, magari per 300 minuti
verso tutti (ma chi?); non dobbiamo essere intelligenti, a meno che
questo non consista nello sforzo di scegliere un film o una serie TV
tra tutte quelle comprese nel pacchetto premium che si cerca di
proporre come idea regalo alternativa; non dobbiamo emozionarci, a meno
che questo non significhi acquistare un costoso profumo per fingere di
somigliare per un attimo, se sei una donna, a una dark lady
accaldata, ambigua e ritoccata che frequenta solo palazzi sfavillanti e
si veste come una puttana d’alto bordo, se sei un uomo a un
giovanotto dalle mascelle pronunciate e i pettorali da palestra che ha
l’aria di chi non ha mai avuto bisogno di lavorare in vita sua e si
veste in modo da ostentare il fatto che, comunque sia, ha un sacco di
soldi ed è abituato a cene eleganti.
Ecco
a cosa ha ridotto il Natale 2012 l’immaginario pubblicitario: i
giocattoli non ci sono quasi più (resiste solo qualche videogioco dove
muoiono tutti), si intravede ancora, giusto per amor di patria, qualche
panettone e qualche pandoro (ma tutti gli altri dolci delle feste
della nostra straordinaria tradizione locale dove sono finiti?); per
il resto sembra che della vita quotidiana facciano parte solo TV,
telefonini più o meno “intelligenti” (ovvero apparentemente in grado
di fare ciò che noi poveri stupidi evidentemente non sappiamo fare da
soli) e profumi che si pronunciano come a New York o a Parigi, da
utilizzare goccia dopo goccia come il surrogato di un’apparenza di
ricchezza ormai talmente aleatoria da durare solo tra una sera e una
doccia. Se questo è lo stile di vita a cui dovremmo ispirarci, lo
trovo spaventoso: la vera fine del mondo è davvero quella che stiamo
vivendo, direbbe Joseph Roth. E mi chiedo come mai, nei confronti di
questa colossale e colpevole mistificazione della realtà, non sia
ancora esplosa una rabbia cieca, incontrollabile, capace di muovere
folle di gente contro le fortezze in cui i responsabili di questo
continuo sprofondare nel nulla dovranno pur nascondersi, quanto meno
per contare i profitti che ne ricavano. Invece non succede niente,
prevale l’assuefazione, o forse la rassegnazione, e temo che sia così
dappertutto, non soltanto in Italia, magari con qualche leggera
differenza laddove la crisi si fa sentire meno, l’offerta commerciale è
più variegata e ci si può illudere di poter essere un po’ più
spensierati.
Ma
non è questo il problema. Non si tratta più di discutere su cosa sia
diventato il Natale e su come, invece, potrebbe o dovrebbe essere.
Quello che dovremmo fare è capire che tutti i giorni è Natale, e tutti i
giorni, se solo sapessimo guardare, se solo riuscissimo a sentire,
potremmo cogliere il valore dei piccoli miracoli che ci accadono. La
festa, nella sua sostanza più profonda, è la memoria di una gioia: per
non disperderne i significati bisogna coltivare la memoria, esplorando
un percorso che sotto molti aspetti è l’esatto contrario di quella
corsa verso il baratro che la commercializzazione dell’inconsistenza
che stiamo vivendo cerca di proporci come esempio. Non so se a scuola
si legge ancora Catullo. Forse sì, in qualche classe probabilmente sì,
nella maggior parte dei casi penso di no. Ma in Catullo ci sono delle
parole che trovo perfette per esprimere questo paradigma rovesciato: nec meum respectet, ut ante, amorem, qui illius culpa cecidit velut prati ultimi flos, praetereunte postquam tactus aratro est.
L’amore non è effimero, è fragile. Come un fiore sul ciglio del
prato. Ma è proprio per questo che possiamo portarlo con noi. Ogni
volta che ci ricorderemo di come quel fiore è stato reciso, e
comprenderemo che quella fragilità era solo apparente, e che non c’è
colpa, non c’è cambiamento che possa scalfire la sostanza di ciò che
ha rappresentato.
Quest’anno,
ogni anno, ogni giorno, provate a regalare a chi amate l’immagine di
quel fiore sul ciglio del prato. Provate a regalare la visione di
un’impronta nella neve, e tutte le storie che si possono immaginare
partendo da quella traccia così instabile. Provate a trasformare in
dono tutto ciò che per i vostri occhi è una gioia, perché diventi
memoria, festa. Provate a regalare a un bambino un racconto che si
sviluppa partendo da uno sguardo, o da un oggetto trovato lungo un
torrente, o in un cassetto in cui era stato dimenticato finora: vedrete
la meraviglia sciogliersi nei suoi occhi, e capirete che nessun
giocattolo alla moda riuscirebbe a fare altrettanto. Provate ad
ascoltare gli odori delle spezie e a ritrovarli in un bicchiere di vino,
o sulla pelle di chi amate. Provate a commuovervi senza vergogna
ascoltando la musica che riesce a portarvi più lontano, e a farvi
sentire più vicini. Provate a cercare gli angeli nelle gocce di bellezza
che popolano il mondo (senza che i media vecchi e nuovi se ne
accorgano). Provate prima di tutto a sentirvi come quel fiore.
Dimentichiamo
troppo spesso che il dono più bello è la sensibilità. Non ci rendiamo
più conto che non è il denaro che ci appaga: sono le emozioni
sincere, come scriveva già una grande poetessa italiana, l’unica cosa
di cui abbiamo davvero bisogno. I momenti più preziosi che portiamo
con noi, se ci pensiamo bene, non sono quasi mai legati a nulla di
materiale e meno che mai all’emulazione di stili di vita imposti dal
bisogno di identificarsi con un modello omologato. I momenti più
preziosi sono quelli che diventano festa, e tutte quelle feste che ci
aiutano a ricordarcene e ci permettono di condividere con gli altri le
emozioni che abbiamo saputo prima costruire, e poi ritrovare.
Buone feste a tutti!
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